Leggere il primo romanzo di Mirella Bolondi, “Terra di Silenzi”, desta in chi si trova a vivere nella dimensione di sordità, come pure io stesso che mi accingo al commento di quanto ho interpretato con soprassalti di convinzione e di stupefazione.
L’autrice, figlia di sordi, ben conosce il mondo del silenzio, e l’ha presentato in una dimensione davvero singolare, quella di un personaggio udente “vecchio e stanco”, ospite di un ospizio che, andato improvvisamente in estasi, si ritrova giovane e pieno di vita in un posto a lui ignoto, dove conosce e fa amicizia con persone “senza orecchie” - cioè senza l’udito - ad alcuni dei quali egli impone dei nomi che ritiene appropriati, non sapendo come denominarli altrimenti; “Mente che vola”, primo personaggio da lui incontrato e sua guida in quel mondo di senza orecchie, poi “Foglia che danza nel vento”, bellissima ragazza di cui egli s’innamorato, ma pure era amata da Foglia che vola, quindi “l’aquilino”, così chiamato per la forma del naso, ed era un personaggio influente in quel luogo, quindi il “piccolo amico”, che si ergeva su una stampella, il “vecchio saggio”, che era acclamato dalla folla di senza orecchie, che sono i principali protagonisti del sorprendente racconto, dove ho perso sovente il filo – certo per provocatoria malizia messa in scena dell’autrice – e ho dovuto ricercare il bandolo dell’intricato evolversi dei fatti, nei quali è l’udente a sentirsi isolato in quell’universo di elementi “senza orecchie” che comunicano segnando e dove nasce e si consolida l’amicizia fra l’ex vecchio e stanco e mente che vola, e nonostante la consapevolezza di essere entrambi innamorati della stessa donna, è alla fine l’udente, quando il suo amico sparisce, che si preoccupa di cercarlo e dare prova di coraggio e abnegazione addentrandosi nella grotta dove mai nessuno di quel paese si era mai avventurato, esplorando l’antro degli “uomini del buio”, tra i quali ritrova il suo amico mente che vola prima di essere bruscamente risvegliato dal trillo della campanella di “Villa Paradiso”, che radunava gli ospiti per il pranzo, e quindi rientrare nella realtà della sua vita reale.

 Marco Lué

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